“Come posso aiutarla? Mi dica”.
“Potremmo…” Lanciai uno sguardo intorno: la sala d’attesa
del commissariato era affollata di gente che era stata aggredita o rapinata e
doveva presentare una denuncia, gente che era stata convocata per un colloquio,
gente in coda per ottenere un documento. “Quello che ho da dirle è un po’… un
po’ particolare, potremmo parlare in privato?”
Il poliziotto mi squadrò. “Ma certo. Venga”.
Mi sentii sollevato. Non sapevo neppure io dove avessi
trovato il coraggio di entrare nel commissariato. Seguii l’uomo lungo un
corridoio. Forse facevo ancora in tempo a scusarmi, a dire che mi ero
sbagliato. Ma lasciai che le mie gambe continuassero a muoversi. Mi fece accomodare
in un ufficio vuoto e chiuse la porta.
Ci sedemmo ad una scrivania. “Mi dica tutto”.
Mai come quando si deve rendere una confessione i rumori si
fanno così chiari ed invadenti. Udivo il parlottio delle persone in sala
d’attesa, il traffico giù in strada, la lancetta dei secondi dell’orologio a parete,
il respiro tranquillo del poliziotto. Aveva un viso vissuto ma gentile. Era
stato l’unico a rivolgermi la parola. I suoi colleghi mi avevano ignorato,
sebbene fossi rimasto almeno dieci minuti in piedi al centro della sala
d’attesa. Ma avevo bisogno che qualcuno venisse in mio soccorso. Da solo non ce
l’avrei mai fatta.
“Innanzitutto voglio ringraziarla”, dissi.
Lui fece un gesto con la mano e sorrise. “Niente. La
ascolto”.
Presi un respiro profondo. “Si tratta di mia moglie Enrica”.
Lui non disse niente, perciò continuai. “Siamo sposati da
dieci anni. Non abbiamo figli. Ci abbiamo provato, ma non sono venuti. Stavamo
pensando all’adozione, ma poi io ho perso il lavoro. Enrica ha un impiego
part-time, io solo il sussidio. Pochi soldi, abbiamo dovuto rinunciare. Ma non
è questo il problema”.
“Mi dispiace. Tante famiglie sono in difficoltà. Ma la crisi
sta per finire, mi creda. Lei che lavoro faceva?”
“Impiegato. Per una catena di negozi d’informatica. Poi
l’azienda è fallita e siamo andati tutti a spasso”.
“E sua moglie?”
“Tiene corsi di ginnastica in una palestra”.
Il poliziotto attaccò un discorso piuttosto generico sulla
situazione economica. Cazzate, ma sortì l’effetto che voleva: mettermi a mio
agio. Era simpatico, disponibile. La sua voce era profonda, rassicurante.
“Allora, mi stava dicendo di sua moglie Enrica”.
“Mia moglie… mia moglie non è più lei”. Prima che potesse
parlare, dissi: “Lo so, sta pensando che mi sarei dovuto rivolgere ad uno
psicologo, o ad un terapeuta di coppia. No, quando dico che mia moglie non è
più lei, intendo dire esattamente questo, che non è più lei”. Arrossii.
“Mi faccia capire. Sua moglie non sarebbe più sua moglie?”
“Esatto. Fisicamente è come se fosse mia moglie, ma per il
resto…”
“Mi scusi, ma non capisco”.
“L’altro giorno ho trovato una foto del nostro viaggio di
nozze e gliel’ho mostrata, e lei non si ricordava nemmeno dove fosse stata
scattata. Non sa più i nomi dei miei fratelli e dei miei genitori. E nemmeno
dei suoi. Si immagini! I nomi di suo padre e di sua madre! Lo so, adesso sta
pensando che sarei dovuto andare da un medico… e in effetti ci sono andato.
Enrica è stata visitata dal miglior neurologo in città. Gli esami hanno dato
esito negativo e lei del resto è in possesso di tutte le sue normali facoltà.
Anzi, da questo punto di vista mi sembra più intelligente. Non che non lo fosse
già, s’intende. Ma adesso ha sviluppato una specie di… cervello scientifico. Sa
fare a mente dei calcoli complicatissimi. Quando eravamo dal medico si è messa
a parlare con lui delle formule chimiche dei medicinali come se fosse una
dottoressa o una farmacista. E poi c’è un’altra cosa… più personale… con mia
moglie c’è sempre stata molta passione, ma adesso lei è proprio assatanata…”
Il poliziotto scoppiò a ridere.
“Il fatto è che ho la sensazione, anzi, la certezza che la
donna con la quale vivo non sia mia moglie. Non so come spiegarglielo, ma non è
lei. È un’estranea. Fisicamente è uguale, glielo ripeto, ma a livello inconscio
io so che non è lei. Adesso può ridere ancora, se vuole”.
“Non intendevo offenderla”, disse allegro il poliziotto.
Sorrise, come se avesse capito qual era il problema.
“Non sono pazzo”, mi affrettai a dire.
“Lo so”.
La sua risposta, immediata e sicura, mi prese alla
sprovvista.
“Mi ha detto che sua moglie è – diciamo così – più vivace da
un punto di vista sessuale. È cambiata anche sotto altri punti di vista?”
Pensai a tante cose, piccoli gesti che c’erano stati tra di
noi e che mi avevano sorpreso. Per anni il nostro rapporto era andato avanti
stanco, adagiato su una routine piatta; ora eravamo come due innamorati incoscienti
che fanno un sacco di sciocchezze. Avevo riscoperto il gusto di corteggiarla,
di farla ridere, di fare l’amore con lei. Non m’importava più cosa facevamo
fintanto che la facevamo insieme; non mi sentivo depresso come prima,
demoralizzato per la mancanza di lavoro e per un figlio mai arrivato. Ero
felice, ottimista.
“Vede?”, disse il poliziotto. “Non sembra anche a lei che la
situazione sia migliorata?”
“Sì”, concordai. Fissai il poliziotto a bocca aperta. “Ma
come ha fatto? Mi ha letto nella mente?” Quelle cose mica le avevo dette a voce
alta!
“Venga”, disse lui.
Mi prese sottobraccio e mi condusse fuori. In sala d’attesa
c’era silenzio, tutti ci guardavano. Anzi, guardavano me. E sorridevano. Ad un
tratto partì un applauso spontaneo.
Avvampai, imbarazzato. “Non capisco…” Era piacevole, quel
tributo di stima.
“Ma sì che capisce, lei ha già capito tutto”, disse il poliziotto,
battendomi la mano sul braccio. “Venga, venga”.
Uscimmo. Era una giornata radiosa. Ci fermammo sul
marciapiede, riscaldati dal sole, accarezzati da una brezza profumata. Stavo da
dio.
“L’umanità non è più senza speranza, mio caro signore. L’umanità
sta cambiando, e tra una o due generazioni, sarà l’umanità che tutti voi avete
sempre sognato. L’umanità che i poeti e i filosofi hanno immaginato e
teorizzato secoli e secoli or sono, quell’umanità amorevole e compassionevole
che i vostri testi sacri hanno profetizzato. Ci siamo, caro signore, ci siamo
quasi! Certo, è stato necessario inoculare un gene straniero, chiamiamolo così,
un gene proveniente dal cosmo profondo, un gene che ha compiuto un lungo
viaggio prima di trovare un terreno di coltura nel quale ambientarsi e
crescere. Ma non si spaventi, ciò non significa che voi non sarete più voi. Voi
sarete sempre voi… con una piccola aggiunta, noi. Non abbia paura, caro signore, sua moglie è sempre sua moglie.
Continui a vivere una vita felice al suo fianco, e cosa importa se non ricorda
qualche dettaglio del passato? Sono solo dei nomi, si possono imparare! E in
quanto al viaggio di nozze… che le importa? Fatene un altro! Riempia lo spazio
vuoto con ricordi nuovi. Sono certo che saranno più belli ed emozionanti!
Adesso torni pure a casa, e non dimentichi mai di essere sempre felice e
innamorato di sua moglie!”
“Ma… cambierò anch’io?”
“Certamente, caro signore. Cambierete tutti – cambieremo tutti. Il passato non ci sarà
più, questo triste, arido passato di odio e ostilità. Ci sarà solo il futuro,
un futuro meraviglioso! Coraggio, caro signore, coraggio! Il futuro, il futuro!”
Le parole del poliziotto risuonavano ancora nella mia mente
quando, non appena misi piede in casa, Enrica mi buttò le braccia al collo e
con un bacio mi annunciò di essere incinta.