Mimì ha un messaggio importante! Eccolo (appena tradotto dal gattesco):
"Gli assassini sono tutti bravi ragazzi" ha bisogno di aiuto!
Anche i libri, a volte, lanciano un SOS!
"Gli assassini sono tutti bravi ragazzi" è sbarcato su Amazon e IBS e ha bisogno di lettori volenterosi che lo supportino con commenti, recensioni e acquisti!
Ecco i link:
Amazon
IBS
Come rimanere indifferenti?!?
Mimì ringrazia di cuore!
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domenica 15 dicembre 2013
giovedì 12 dicembre 2013
Weekend a Russi (RA)
Partenza: sabato 7 dicembre, ore 11 di mattina.
Destinazione: Russi, provincia di
Ravenna.
Obiettivo: la cerimonia di premiazione
della XIX edizione di Libri mai mai visti.
I viaggiatori: la mia dolce metà, Tania,
i miei genitori ed io.
Per chi non conoscesse questa originale
iniziativa culturale giunta alla sua diciannovesima edizione, può trovare
maggiori informazioni a questo link: http://www.vaca.it/
Il tratto peculiare del concorso è che i
libri (che possono essere realizzati con qualsiasi materiale e in qualsiasi
forma) devono poter essere maneggiati. Non stanno sotto una teca di vetro, non
c’è alcun custode pronto a bacchettarvi se osate allungare le mani; no, le
opere sono disposte su dei tavoli, a disposizione della curiosità del
visitatore e possono essere prese e rigirate a piacimento.
L’Italia, il nostro
libro in concorso, ha ricevuto una menzione speciale.
L’Italia è un’opera
collettiva. Le menti creative che stanno dietro alla concezione e alla
realizzazione del lavoro – unico e mai visto, come recita il titolo del
concorso – sono tre: Mary Ellen, Francesco e William, cioè io. Un’opera per
così dire di famiglia, visto che Mary Ellen è mia madre e Francesco mio padre.
Mary Ellen si è sobbarcata l’impegno più
gravoso: realizzare le oltre 20 stampe che compongono il libro. Alcuni esempi:
L’ultima pagina offre qualche
delucidazione sulla tecnica e sull’impianto dell’opera:
Questo
libro è stato realizzato e stampato a mano con tecnica mista multicolore su
mylar, legno, linoleum e carborundum con punta secca e xilografia [1].
Il testo è costituito da una sequenza di tweets [2]
(leggeri) che contrastano la drammaticità dei colori [3].
Stampato a Roma nell’anno 2013.
[1] Una
tecnica unica, inventata dall’artista, per la quale Mary Ellen ha ricevuto
moltissimi complimenti.
[2] L’idea
dei cinguettii è di Francesco. Come impone Twitter, sono tutti rigorosamente di
140 caratteri o meno.
[3] Nelle
intenzioni i tweet dovevano essere un alleggerimento. Ma visto che li ho
scritti io, e che l’argomento era l’Italia, sono venuti belli pesanti. Considerata
la disperata situazione nella quale versa l’Italia, chi ama il Bel Paese non
può non essere critico.
Il viaggio scorre veloce. Ci fermiamo per una pausa panino/caffè poco dopo Perugia. Fa freddo e il paesaggio è oppresso da una foschia grigia, persistente.
Quando vado a
pagare il mio caffè, la cassiera batte lo scontrino e annuncia: “Due euro!” Poi
vede la mia espressione smarrita, della serie ma non è un po’ troppo?, e corregge il tiro: “Ha preso un caffè
solo? Allora è un euro…” Questa piccola disavventura mi spinge a prendere una
drastica risoluzione per il futuro: se mai il caffè arriverà a due euro,
smetterò di prenderlo!
Ripartiamo.
Siamo a Russi alle 15, un’oretta prima dell’inizio della cerimonia. Facciamo
due passi in giro per la piazza principale, deserta; facciamo qualche foto ad
un vecchio castello e ad un albero dai colori autunnali accesi. Per combattere
il freddo, giustamente siamo a dicembre, entriamo in un bar.
“Te lo prendi un
caffè?”, mi chiede mio padre.
“Non posso, ho
dimenticato il libretto degli assegni a casa…”
Il Teatro
Comunale è piccolo, accogliente e molto ben riscaldato: i miei piedi,
infreddoliti, ringraziano. All’inizio siamo quattro gatti, poi la platea si
riempie fino a scoppiare e la gente comincia ad occupare i palchi. Inizia la
cerimonia. La prima cosa che sottolineano gli organizzatori è quanto sia stato
difficile reperire i fondi. La situazione peggiora di anno in anno. Tocchiamo
con mano gli effetti della crisi sulla cultura: è sempre più raro trovare chi
sia disposto ad investire in attività culturali come Libri mai mai visti. Non stiamo parlando di cifre astronomiche; non
ci sono celebrità dal cachet proibitivo o buffet presidenziali; eppure si
fatica a mettere insieme la somma necessaria. Il catalogo, un libretto rilegato
con una specie di garza, è la prova della scarsezza di fondi. Per il ventennale
dell’anno prossimo si vorrebbe organizzare qualcosa di speciale, ma l’incognita
dei finanziamenti grava minacciosa sul futuro del concorso.
Si passa alle
premiazioni, partendo dalle segnalazioni. Quando ti fermi a riflettere sul
titolo dell’iniziativa, Libri mai mai
visti, probabilmente pensi a dei libri strani, bizzarri, ma quasi
certamente non immagini libri a forma di uovo di dinosauro oppure a forma di
gabbietta per canarini o a forma di carillon:
Il presentatore,
un tizio buffissimo con la battuta sempre pronta, chiama sul palco gli artisti.
Vengono da tutta Italia e anche da più lontano: dalla Spagna, dall’Iran, dalla
California, dal Cile.
È il nostro
turno. Il presentatore pronuncia il nome di mia madre e il mio. Ci alziamo e,
dal centro della platea, pestando le borse e i piedi dei nostri vicini di
poltrona che si scansano come possono per farci passare, raggiungiamo il palco.
L’emozione è forte. Nonostante si tratti di un piccolo teatro, le luci della
ribalta ci sembrano accecanti; nonostante la platea non sia quella della
puntata finale di Sanremo, gli applausi ci paiono assordanti: l’emozione fa
sembrare tutto più luminoso e fragoroso. Eccoci sul palco, io tutto a sinistra
e mia madre vicino a me:
Il presentatore
legge la motivazione della menzione speciale:
Io mi riconosco
soprattutto nell’aggettivo “inquietante”.
Forse quando
scrivo:
I politici italiani, tanti
piccoli attori. Tra lazzi ed improvvisazioni, il Paese scivola sempre più nella
melma. Ci guidano i Re del Fango. 140 [4]
[4] Il numero alla fine del testo indica il numero di battute del tweet.
Oppure:
Le bellezze di Roma
soffocano per il cemento e l’inquinamento. Quello che non poterono i barbari,
poterono gli amministratori incompetenti. 139
La donna oggetto. L’ideale
sublime del maschio è una donna che si acquista e si cede, una donna-bambola
senza pensieri e senza libertà. 135
Colui che ti giurò eterno
amore ora pianta la lama del suo odio nel tuo cuore. L’unica tua colpa, donna
senza difesa, è l’aver amato. 133
Più che i
cinguettii di un passero, sembrano il gracchiare di un corvo. I temi affrontati
da mia madre attraverso le stampe e da me attraverso i tweet spaziano dalla
politica al femminicidio, dal malgoverno al razzismo. Il punto è guardare in
faccia la realtà che viviamo, analizzare la nostra società, riconoscerne le
imperfezioni e denunciarle.
Riceviamo il
premio, una mezza dozzina di libri d’arte bellissimi, e torniamo al nostro
posto con la testa leggera e l’emozione ancora forte nel cuore.
La sala dove le
opere sono esposte è affollatissima:
I libri sono
scrigni da aprire, pergamene da svolgere, carillon da suonare, rocchetti da
srotolare, servizi da tavola, maglie con merletto… Se non ci credete, fate un
salto a Russi, le opere resteranno in esposizione fino al 16 gennaio 2014!
La serata si
conclude con una cena al ristorante dell’albergo a Ravenna. L’indomani, dopo
una sostanziosa colazione, facciamo un giro per la città, il luogo dove sono
nato e dove ho abitato per un anno. Vediamo piazza del Popolo col suo albero di
Natale e il mercatino, visitiamo la tomba di Dante (mio padre, fiorentino DOC,
discute – pacatamente, s’intende – con una signora di Ravenna a proposito di
dove dovrebbero essere sepolte le spoglie del Divin Poeta) e rimontiamo in
macchina, pronti a rientrare a Roma.
Sono contento d'aver trascorso il weekend a Russi, certamente per il premio ricevuto, ma soprattutto per aver avuto la possibilità di ammirare questi piccoli capolavori che uniscono fantasia e artigianato, che provocano sorpresa e meraviglia, che fanno sorridere e pensare: i libri mai mai visti.
martedì 24 settembre 2013
Predeterminazione vs Libero Arbitrio (dei personaggi)
Alcuni scrittori lavorano con straordinaria intensità
alla scaletta. La scaletta è la loro Stella Polare. La loro Coperta di Linus.
Quell’amico del cuore al quale rivolgersi quando tutto va a rotoli. La scaletta
viene scritta e riscritta, analizzata, rimaneggiata, allungata, accorciata,
approfondita, revisionata.
Al termine della stesura della scaletta, questi
scrittori hanno redatto tantissimi paragrafi, idee, concetti. Ma non hanno
ancora scritto una singola parola del loro romanzo. Quando lo faranno, il fato
dei personaggi è già determinato. A pagina 12 un uomo sta mangiando un piatto
di maccheroni al formaggio. Lui non lo sa, ma a pagina 96 finirà in coma a
causa di un incidente stradale. A pagina 186 morirà e i suoi organi saranno donati
e i suoi familiari diranno al suo funerale: “Era un uomo buono”. Ma l’uomo non
sa nulla di tutto questo e a pagina 12 (praticamente il suo momento di gloria)
si gusta a cuor leggero i suoi maccheroni.
Altri scrittori lavorano senza scaletta. O ne realizzano
una che a malapena può essere chiamata tale. Hanno in mente uno schema, tratti
caratteriali, episodi. Niente scheletro, solo un’ombra. Quando iniziano a
scrivere, questi scrittori non hanno idea di dove arriverà la storia che stanno
raccontando. O meglio, una conclusione possono anche avercela in mente, ma non
è detto che sia quella che i loro personaggi sceglieranno.
Scaletta = Predeterminazione
Nessuna Scaletta = Libero Arbitrio
Il primo sistema presenta, evidentemente, solo
vantaggi. Tutto è già deciso e non c’è spazio per divagazioni o cambiamenti che
possono mandare KO lo scrittore. C’è una strada tracciata: non bisogna fare
altro che seguirla. Il secondo metodo, al contrario, è pieno di insidie. Ci si
avventura in una foresta equipaggiato solo di una bussola. Ci sono sentieri che
si biforcano, sentieri che si rivelano vicoli ciechi. Si sceglie, si va avanti,
si sbatte il muso, si torna indietro cancellando le proprie tracce come se si
volesse depistare un inseguitore, si ricomincia in una direzione diversa.
Domanda: perché uno scrittore sano di mente dovrebbe
adottare il secondo sistema anziché il primo?
Innanzitutto, uno scrittore potrebbe avere il
desiderio di sorprendere, ancora prima del lettore, se stesso.
È un’aspirazione folle? Sedersi a scrivere qualcosa –
senza avere idea di cosa diventerà?
Entrano in gioco due fattori, l’ispirazione e la noia.
Scrivere qualcosa che già si conosce (espandere il punto di una scaletta in un
capitolo, ad esempio), può essere terribilmente noioso. Scrivere qualcosa che
non si conosce (ma che evidentemente è già dentro di noi) è dare voce
all’imprevedibile. Può essere un girovagare infruttuoso, ma può anche essere
una straordinaria fonte d’ispirazione.
L’ispirazione, ossia la qualità che distingue ciascun
scrittore da tutti gli altri, l’unicità della sua voce. Quante sono le note
musicali? E quante melodie esistono?
Il sistema del girovagare (René Ferretti direbbe procedere
a cazzo di cane) è una specie di terapia psicologica che avanza per flussi
di coscienza e associazioni di idee. Bisogna fidarsi del proprio istinto, anche
quando ti fa scrivere emerite stronzate. C’è sempre tempo per cancellare,
correggere, riscrivere (la riscrittura non è importante, di più).
Ci sono infinite vie di mezzo tra questi metodi. Ogni
scrittore ha il suo.
Io, di solito, ho in mente tre cose: l’inizio, la fine
e qualche episodio nel mezzo. Una cosa che ho sempre in mente è un personaggio.
O più personaggi, dipende. I personaggi sono la voce del romanzo, e il romanzo
mi deve parlare. Non sono io che scrivo lui, è lui che si fa scrivere da me.
All’inizio ho più potere contrattuale. Il romanzo è un bambino di poche pagine.
Ma cresce, e a mano a mano che le sue pagine aumentano, i rapporti di forza
cambiano. Da un certo punto in poi, io prendo solo ordini. Divento una specie
di dattilografo.
Dattilografo s. m. (f. -a) Chi per professione scrive a macchina,
spec. negli uffici.
lunedì 21 gennaio 2013
sabato 12 gennaio 2013
A cosa si pensa quando si scrive un libro
Quando ti chiedono cosa hai in mente quando scrivi, cosa vuoi dire con un
libro, quali sono le tue intenzioni nel pubblicare un romanzo, è proprio in
quei momenti che vorresti essere uno che fa un altro lavoro. Il doppiatore,
l’idraulico, il commesso, il pilota d’aerei: ce ne sono migliaia che ti autorizzano
a rispondere cose del tipo: riflettevo se è meglio il 4-4-2 o il modulo ‘albero
di Natale’, pensavo a cosa regalare alla mia fidanzata per il compleanno, mi
chiedevo se nascerà mai un altro Rino Gaetano...
A cosa si pensa quando si scrive un libro? Servirebbe un altro libro per spiegarlo... A cosa pensa il pittore mentre dipinge? O, per rimanere in ambito sportivo, a cosa pensa il calciatore mentre gioca? A fare gol, forse? Lo scopo della scrittura (e dell’arte in generale) non è forse così immediato. Lo scopo dell’arte... Mi guardo bene dall’affrontare questo argomento così maledettamente importante in questo post. Fior fiore di studiosi hanno versato i proverbiali fiumi d’inchiostro per giungere ad una risposta soddisfacente: fate riferimento ad essi, prego.
Io potrei certamente provare a spiegare cosa passa per la mia testa mentre scrivo un libro. Sembra una cosa semplice, ma, almeno per me, non lo è. Ha a che fare col desiderio. Tanti desideri. Il desiderio di raccontare una storia. Il desiderio di sfogare le emozioni, i sentimenti accumulati nella cosiddetta vita reale. Il desiderio di creare qualcosa di bello, di piacevole. Ha a che fare con la paura. Tante paure. La paura di star scrivendo stupidaggini. La paura che la storia non stia andando da nessuna parte. E poi la paura che la trama sia sfilacciata, lo stile incerto, il vocabolario scarno, le descrizioni povere, i personaggi piatti, i colpi di scena prevedibili.
Ma poi... Poi continuo a scrivere. Per finire un libro bisogna essere un po’ testardi. È così facile lasciare le cose a metà (questo credo che valga nella vita in generale). Scrivo e lo finisco. E se ho fortuna, quando lo rileggo, non mi fa proprio schifo. Magari mi fa sorridere una o due volte, magari certi pezzi li trovo assolutamente non disprezzabili. C’è ancora tanto da lavorare. Taglia e cuci, come un sarto. Si cerca il ritmo, la musicalità delle parole, dei periodi. Si cerca di mettere in piedi uno spettacolo di magia che non annoi troppo il lettore. Ci si fa guidare dall’istinto.
Poi il manoscritto viene letto da amici e parenti, gente che dovrebbe essere ben disposta (ovvio, temono che tu ti vendichi, magari regalando loro una brutta cravatta a Natale). Bisogna farsi dire la verità, tuttavia. Una dura verità è meglio di una dolce bugia.
Poi si pubblica (questo è un capitolo a parte). Il romanzo adesso è finito. Camminerà con le sue gambe.
A cosa si pensa quando si scrive un libro? Servirebbe un altro libro per spiegarlo... A cosa pensa il pittore mentre dipinge? O, per rimanere in ambito sportivo, a cosa pensa il calciatore mentre gioca? A fare gol, forse? Lo scopo della scrittura (e dell’arte in generale) non è forse così immediato. Lo scopo dell’arte... Mi guardo bene dall’affrontare questo argomento così maledettamente importante in questo post. Fior fiore di studiosi hanno versato i proverbiali fiumi d’inchiostro per giungere ad una risposta soddisfacente: fate riferimento ad essi, prego.
Io potrei certamente provare a spiegare cosa passa per la mia testa mentre scrivo un libro. Sembra una cosa semplice, ma, almeno per me, non lo è. Ha a che fare col desiderio. Tanti desideri. Il desiderio di raccontare una storia. Il desiderio di sfogare le emozioni, i sentimenti accumulati nella cosiddetta vita reale. Il desiderio di creare qualcosa di bello, di piacevole. Ha a che fare con la paura. Tante paure. La paura di star scrivendo stupidaggini. La paura che la storia non stia andando da nessuna parte. E poi la paura che la trama sia sfilacciata, lo stile incerto, il vocabolario scarno, le descrizioni povere, i personaggi piatti, i colpi di scena prevedibili.
Ma poi... Poi continuo a scrivere. Per finire un libro bisogna essere un po’ testardi. È così facile lasciare le cose a metà (questo credo che valga nella vita in generale). Scrivo e lo finisco. E se ho fortuna, quando lo rileggo, non mi fa proprio schifo. Magari mi fa sorridere una o due volte, magari certi pezzi li trovo assolutamente non disprezzabili. C’è ancora tanto da lavorare. Taglia e cuci, come un sarto. Si cerca il ritmo, la musicalità delle parole, dei periodi. Si cerca di mettere in piedi uno spettacolo di magia che non annoi troppo il lettore. Ci si fa guidare dall’istinto.
Poi il manoscritto viene letto da amici e parenti, gente che dovrebbe essere ben disposta (ovvio, temono che tu ti vendichi, magari regalando loro una brutta cravatta a Natale). Bisogna farsi dire la verità, tuttavia. Una dura verità è meglio di una dolce bugia.
Poi si pubblica (questo è un capitolo a parte). Il romanzo adesso è finito. Camminerà con le sue gambe.
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