Jean-Patrick Manchette, nato
nel 1942, è stato un traduttore, sceneggiatore, critico e scrittore francese.
Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 ha pubblicato una decina di romanzi entrati
nella storia del noir. È scomparso nel 1995 a causa di un male incurabile,
lasciando incompiuto il suo ultimo capolavoro, “Principessa di sangue”.
Nell’acuto e ironico volume “Le ombre inquiete”, una raccolta di saggi
e articoli, Jean-Patrick Manchette racconta di essere stato iniziato alla
lettura dei romanzi gialli dalla sua nonna scozzese, appassionata della Série Noire. Da adulto, l’amore per
questo genere si è trasformato in un lavoro: Manchette è stato anche traduttore
(dall’inglese). Questo gli ha dato la possibilità di leggere e apprezzare i
capolavori degli scrittori americani in originale. Manchette non si è mai
stancato di sottolineare l’importanza della traduzione. Essa deve essere
accurata, sempre, anche quando si tratta di romanzi d’evasione. Ma i gialli
sono veramente romanzi d’evasione? Romanzi buoni da leggere in treno, come
diceva lo stesso Manchette?
Usando un gioco di parole, si può dire che l’importanza di Manchette è
stata quella di comprendere l’importanza del romanzo giallo. Più nello specifico,
del romanzo noir, ossia l’hard-boiled, il noir violento americano.
Secondo Manchette, il noir nasce negli Stati Uniti negli anni Venti e
si sviluppa lungo il trentennio successivo, fino agli anni Cinquanta, quando le
mutate condizioni sociali e politiche decretano la sua morte. L’indiscusso
padre fondatore del genere è Dashiell
Hammett; grazie a lui e a numerosi altri autori, il noir esce dalle pulp magazine nelle quali era confinato
ed invade le librerie con le sue storie a base di piombo e sangue. L’ultimo
grande maestro è Raymond Chandler.
Se lo stile di Hammett è crudo e diretto, le parole di Chandler si librano su
ali poetiche. Leggendo le opere di Hammett pare di assistere ad un incontro di
boxe nel quale ogni colpo è permesso, e se è un colpo basso, tanto meglio.
Chandler parte invece dalle psicologie dei personaggi, tratteggiate in ogni
sfumatura, psicologie dalle passioni violente e inarrestabili. Hammett porta il
lettore nell’arena della vita e non gli risparmia alcuna bassezza; le stesse
bassezze le ritroviamo in Chandler, ma ammantate di una lirica che ha il sapore
della tragedia greca.
La tesi di Manchette è semplice: la letteratura (come ogni altra forma
d’arte) rappresenta la coscienza dell’epoca che la produce; nel caso del noir
si tratta di una coscienza decisamente sporca. Nel poliziesco tradizionale,
spiega Manchette, esiste un ordine sociale che viene turbato dal delitto; con
lo smascheramento del colpevole (che tradizionalmente avviene all’ultima
pagina), l’ordine viene ristabilito e la buona società può tornare a dormire
sonni tranquilli. Nel noir non c’è alcun ordine da ristabilire e il delitto è
la pura e semplice conseguenza dello stato delle cose: vale la legge del più
forte, la corruzione contamina la società a qualsiasi livello, la criminalità
organizzata si è perfettamente integrata nelle istituzioni, diventandone una
parte fondamentale. Non è una bella prospettiva, ma, scrive Manchette, le cose
stanno così. Su questo sfondo deprimente si muovono gli oppressi e gli
sconfitti, miserabili che si sbranano l’un l’altro per poche briciole di pane.
Occorre abbandonare ogni speranza, dunque? No, per fortuna. In mezzo a
questo letame, c’è una figura che non si piega: il detective privato. È lui
l’unico, vero eroe del noir, l’unico eroe possibile. Non può essere un
poliziotto perché il poliziotto fa parte delle istituzioni e dunque è corrotto
oppure complice; non può essere un delinquente perché il delinquente ha perso
qualsiasi scrupolo e senso morale. Morale: ecco il termine chiave per interpretare
la figura del detective privato. Sotto una dura scorza di cinismo e
disillusione, il detective privato nasconde un profondo senso etico, una virtù
che lo guida nella notte senza fine rappresentata dalla società ingiusta nella
quale opera. Il detective privato sa di poter porre rimedio a qualche torto, ma
sa di non poterli aggiustare tutti: e dunque gli rimane un’espressione di
profonda amarezza sul volto. E nonostante tutto continua ad accogliere i suoi
clienti e ad ascoltare le loro bugie, i loro tentativi di manipolarlo.
Abbiamo detto che secondo Manchette il noir muore negli anni Cinquanta.
Muore perché è stato la fotografia di un’epoca, un’epoca ormai giunta al
termine. Il proibizionismo, il gangsterismo, tutto è cambiato dopo la Seconda
Guerra Mondiale e l’inizio della Guerra Fredda. Nuovi generi e nuovi eroi si
affacciano alla ribalta (la spy-story e gli agenti segreti come James Bond, ad
esempio).
Il noir, il vero noir è davvero finito? Molti giurano di no. È la
letteratura della crisi, è il fantasma che si aggira nella nostra società,
turbando le nostre coscienze. Ha dato origine a mille sottogeneri diversi: dal
noir metropolitano al police procedural
al giallo storico (basta farsi un giretto su Wikipedia per trovare tutta la
discendenza). Ai lettori è rimasta la voglia di leggere storie forti, che
tolgono il fiato come un pugno nello stomaco; e negli scrittori è ancora viva
la volontà di misurarsi con un genere che forse meglio di qualsiasi altro è in
grado di fornirci una radiografia della nostra società, una radiografia
impietosa, un intreccio soffocante tra affari, politica, corruzione,
delinquenza; un terreno di battaglia, tuttavia, nel quale è ancora possibile
trovare un eroe che incarni il desiderio di un mondo più giusto.